Undici leoni. O meglio, dieci leoni contro undici giocatori. O meglio ancora: dieci leoni contro dodici. Anzi, contro tredici. E il dodicesimo uomo in campo contro gli azzurri al Friuli non è stato certo il pubblico bianconero: indossava invece una divisa giallo canarino, e girovagava per il terreno di gioco con chissà quali grilli per la testa. Per carità, che nessuno sostenga la tesi del complotto: chi segue ed ama il calcio deve necessariamente pensare che così non sia, specialmente dopo Moggiopoli. O, perlomeno, deve sforzarsi di crederlo, dato che una Moggiopoli è comunque esistita. Ma è innegabile che i fischietti nostrani una certa “distrazione” la evidenzino spesso quando dirigono il Napoli, in modo particolare da quando gli azzurri hanno iniziato a cambiare marcia. Da quando insomma quel quarto posto già “prenotato” è stato minato da parecchie ed evidenti difficoltà interne di qualche corazzata del calcio tricolore e dalla forza, spregiudicatezza e freschezza dei Mazzarri’s boys. La Champions attira, e non solo per quella orecchiabile musichetta, quanto piuttosto per i soldoni che assicura, linfa vitale per alcune società. Elisir di eterna giovinezza. Ma nonostante queste considerazioni, seppur vere ed evidenti, non si può e non si deve parlar di complotto: guai a pensare che i vari Orsato, Morganti e Damato (solo per citarne alcuni) abbiano agito in malafede. L’arbitro sbaglia. L’essere umano sbaglia. Allo stesso modo però l’umana gente è condizionabile, seppur in buona fede: il vero male del calcio è qualcosa di ineliminabile chiamata sudditanza psicologica, qualcosa che esiste da quando esiste l’uomo. Il potere attrae, seppur inconsciamente, e così è stato ieri, così è oggi e così sarà domani. Nel calcio come nella vita, se non altro perché il calcio è espressione di vita. Dunque per la stessa infima ragione che spinge il barista a dire “non si preoccupi, offre la casa” quando nel suo bar si trova a metter piede un alta carica dallo Stato, mentre il poveraccio di turno è costretto a pagare il conto fino all’ultimo centesimo, allo stesso modo il Napoli paga il suo “pizzo” al potere, o meglio, a quell’attrazione inconsapevolmente travolgente ma allo stesso tempo tangibile che devasta e rende succube l’essere umano che vien messo a tu per tu con il potere. E’ questa la ragione per cui Saccani valuta da rigore il tuffo di Del Piero in Juve – Lazio di qualche giorno fa, o per cui Mazzoleni non punisce con l’ammonizione il volo di Ambrosini in Bologna – Milan di ieri (non si venga a dire che il capitano rossonero ammette di essersi tuffato e non chiede il rigore: questo avviene solo quando Ambrosini si accorge che il direttore di gara non indica il dischetto, ma si avvia verso di lui..), mentre il signor Damato non esita un secondo ad estrarre il secondo giallo per Cristian Maggio, reo simulatore ma in realtà toccato in area da Isla. Insomma, le soluzioni al problema arbitrale sono due: o si cambia il cervello dell’uomo, ma questo è difficile, o si cerca di introdurre in campo un supporto tecnologico visivo per i direttori di gara, ma questo sembra ancor più difficile della prima ipotesi. Forse perché eliminerebbe grandi vantaggi per qualcuno e grandi alibi per altri, o forse perché il povero Biscardi non avrebbe più di cosa farsi portavoce, chissà. Tornando alla partita di ieri, resta da chiedersi chi sia stato il tredicesimo in campo contro gli azzurri. Beh, quella si chiama jella, ed è ancor più difficile da sconfiggere che i risvolti del potere.
Vincenzo Mugione NAPOLICALCIO.NET