Carlo Ancelotti in una lunga intervista ha parlato del presente a Napoli e anche del passato: “Da piccolo ero interista“.
Tra Carlo Ancelotti e il Napoli è stato qualcosa più di amore a prima vista. Il tecnico degli azzurri ha raccontato il suo approccio con la nuova realtà e i piani per il futuro.
“Ho parlato con la società, ho cercato di capire i loro progetti. La squadra già la conoscevo e mi piaceva. Ho iniziato il processo senza stravolgere quello che già facevano molto bene con Sarri. Il Napoli è una squadra che ha conoscenza, i ragazzi sono molto bravi tatticamente. Poi cerchiamo insieme di modificare il sistema di gioco. Naturalmente con la condivisione dei giocatori”.
Con l’idea di diventare un manager all’inglese, a tutto tondo:
“Mi piacerebbe molto. Forse qui ci sono le caratteristiche adatte a un progetto simile”.
Obiettivo scudetto:
“La Juve è molto forte, molto continua, però inarrivabile no. Nella mia esperienza di calcio non ho ancora trovato squadre imbattibili. Certo, per stare al passo con la Juve, devi fare miracoli”. Anche perché, secondo Ancelotti, il Napoli ha il miglior centrocampo d’Italia: “Ne sono convinto. Sei centrocampisti di alto livello. Nella completezza siamo molto competitivi”.
Oltre al campo, l’ambientamento del tecnico in città è di successo, come racconta lui stesso:
“Ovviamente mi piacciono il paesaggio e la luce. Il golfo di Napoli, con Capri di fronte. Il Vesuvio: ti svegli la mattina e hai questa fotografia emozionante davanti. Mi piace poi la passione che c’è dietro questa squadra. A me piace frequentare la città, vado per strada, nei ristoranti e nessuno mi ha mai disturbato, sono molto rispettosi. Forse perché mi vedono un po’ vecchio. Un po’ mi sento napoletano. Mi piace l’atmosfera che si vive qui, l’ambiente. Napoli accoglie, non respinge”.
Il tecnico torna anche sul discorso dei cori e della possibilità di far lasciare il campo alla propria squadra:
“Io non voglio fare un discorso solo sul Napoli, ovviamente. Voglio parlare degli stadi italiani e della lotta contro ogni intolleranza. Se ci sono quei cori si devono attuare delle procedure: la segnalazione del capitano all’arbitro, l’annuncio con gli altoparlanti e, se nulla serve, la sospensione della partita. Serve per capire che si fa sul serio”.
Ancelotti ha trovato la sua isola felice dopo un’esperienza difficile al Bayern:
“È stato uno scontro di filosofie. La società non aveva intenzione di modificare la struttura, la loro filosofia di lavoro e di promuovere un cambio generazionale dei giocatori, cosa che ora stanno facendo”. Sullo sfondo è rimasta la suggestione Nazionale: “Ho avuto la possibilità mesi orsono, ho parlato anche con la Figc. Ma ho detto loro che avevo voglia di allenare una squadra di club. Non mi piace allenare tre volte al mese”.
Spazio anche per un aneddoto di gioventù, Ancelotti da piccolo era un tifoso dell’Inter:
“Mio cugino, che era andato a lavorare a Milano dal paese, mi aveva portato la maglia dell’Inter quando avevo sei anni. La prima volta che ho visto l’Inter era il 1970, vennero a giocare a Mantova e mio papà mi portò ma non abbiamo trovato il biglietto. Mi disse “Torniamo a casa” e io “Ma che torniamo a casa! Stiamo qua”. Mi sono messo davanti ad una porta dello stadio e ho cominciato a piangere a dirotto. Alla fine del primo tempo un custode mi ha detto ‘Se smetti ti faccio entrare’. In quella partita l’Inter vinse 6 a 1. Primo tempo 0 a 0. Vidi tutti i goal”.