Continuano a tener banco i fatti accaduti sabato sera a Roma prima della finale di Coppa Italia fra Fiorentina e Napoli, e che hanno portato al ferimento di quattro persone, fra cui il supporters azzurro Ciro Esposito. Per la Questura capitolina non ci sono dubbi e il caso è virtualmente da considerarsi chiuso: “La Sparatoria di Tor di Quinto è stato il gesto folle di una persona che ha agito da sola e non un agguato organizzato contro i tifosi napoletani”, hanno spiegato ieri le forze dell’ordine in una conferenza stampa.
Rimane però il dubbio su quanto accaduto allo Stadio Olimpico, con Hamsik che è andato sotto la curva dei propri tifosi, interloquendo con il capo ultras Genny ‘a Carogna, al secolo Gennaro De Tommaso, prima che venisse dato il via libera definitivo alla disputa della partita. Oltre al curriculum personale, con i presunti legami della sua famiglia ai clan, il capo ultrà ha bucato lo schermo imbarazzando tutti per via della la t-shirt pro-Speziale, il tifoso condannato per l’omicidio dell’ispettore Raciti. Tutto questo sotto gli occhi dello istituzioni, presenti numerose sugli spalti dell’Olimpico: in tribuna c’era Piero Grasso, presidente del Senato e seconda carica della Repubblica, e con lui il premier Renzi.
Per la Questura, tuttavia, “Non c’è stata alcuna trattativa” e “Il Napoli ha chiesto che il capitano potesse incontrare i tifosi per spiegare loro quanto stava accadendo, si era diffusa la voce che il tifoso ferito fosse morto”. Dal club azzurro però ribaltano il tutto: “Ci siamo limitati ad assecondare le richieste della Digos, per spiegare ai tifosi che il tifoso ferito non era morto”, hanno spiegato.
Cosa è dunque realmente accaduto in quei convulsi e controversi frangenti? La trattativa fra le forze dell’ordine e gli ultras c’è stata oppure no, come sostiene la Questura di Roma? Sull’accaduto ha parlato proprio uno dei protagonisti della vicenda, l’ultras del Napoli Genny ‘a Carogna, che ai microfoni del ‘Mattino’ ha raccontato la sua verità, escludendo che ci sia stato qualsiasi patto.
“Quelle che sono state scritte sono tutte sciocchezze. – ha sentenziato – Hamsik è venuto da noi solo per rassicurarci sulle condizioni del nostro amico, per dirci che stava meglio, che poteva farcela. Lo stesso messaggio che ci hanno dato le forze dell’ordine. Noi abbiamo parlato con tutti con calma e rispetto, senza minacce o provocazioni. Non c’è stata alcuna trattativa tra la Digos e la curva partenopea sull’opportunità di giocare o meno la partita. Il resto sono invenzioni dei giornalisti”.
“Ovviamente, quindi, – ha proseguito Genny – Quello che è successo sabato è inaudito, non era mai accaduto che qualcuno sparasse ai tifosi. Di tutto questo sembra non importare niente a nessuno. Ma a noi sì, a noi interessa. Ed è per questo che abbiamo deciso di rinunciare alla coreografia che avevamo organizzato e che ci era costata quindicimila euro. E la stessa cosa hanno fatto anche i supporter della Fiorentina”.
“Come avremmo potuto srotolare gli striscioni, e cantare, e ballare quando uno di noi era in fin di vita? – si è chiesto il capo ultrà del Napoli – Ci siamo rifiutati di farlo. Ma non abbiamo minacciato nessuno e non abbiamo detto di non giocare. Né avremmo avuto il potere per farlo. Noi non possiamo decidere nulla”.
Genny ha raccontato che dopo il primo goal di Insigne lui e altri tifosi hanno lasciato lo Stadio Olimpico: “Nessuno poteva costringerci a restare allo stadio e infatti subito dopo il primo goal molti di noi sono andati via. – ha spiegato a’ Carogna – Più che del Napoli ci interessava di quel ragazzo in fin di vita. Perciò siamo rimasti tutta la notte in ospedale con la famiglia e con le forze dell’ordine”.
Ma l’ultras azzurro si è spinto oltre, visto che ha fornito anche una sua ricostruzione della sparatoria all’esterno dello Stadio: “Ci stavamo dirigendo verso la curva Nord dell’Olimpico scortati dalle forze dell’ordine. – ha raccontato – Poi è successo l’inferno, abbiano sentito i colpi e ci siamo accorti che tre di noi erano rimasti a terra. Una cosa del genere non si era mai vista, pure quando uccisero quel tifoso all’Olimpico, Paparelli: allora non spararono un colpo di pistola, ma un razzo che purtroppo gli finì in un occhio. Perciò i fatti di Roma sono gravissimi”.
Un chiarimento anche su quella maglia che inneggia all’uccisore di Raciti, che tutti gli hanno visto indossare sabato sera: “Non è un gesto di sfida, – ha assicurato – anzi. L’unica cosa importante di questa storia ormai è diventata la maglietta che io e gli altri tifosi indossiamo. ‘Speziale libero’ c’è scritto. Ma attenti: la maglietta è in onore di una città dove abbiamo tanti amici e nei confronti di un ragazzo che sta chiedendo attraverso i suoi legali la revisione del processo. È una richiesta di giustizia, non un’offesa contro una persona deceduta o contro i suoi familiari”.
Infine una secca smentita sulle tifoserie che terrebbero in ostaggio le società di calcio: “Tutte favole”, ha concluso Genny ‘a Carogna nella sua intervista al ‘Mattino’. Questa, dunque, è la sua verità. Su come siano andate realmente le cose sabato sera a Roma, tuttavia, i dubbi, e non pochi, restano.