Era il 2 novembre quando il Napoli subì la rete di Ronaldinho all’85°, pochi minuti dopo che Iezzo aveva parato un rigore a Kakà. Da allora sono passati tre mesi e sette trasferte e, a fine partita, gli azzurri hanno lasciato il campo sempre a mani vuote. Quel che fa più rabbia, e allo stesso tempo lascia spazio a riflessioni, è il modo in cui i partenopei incassano queste sconfitte. Non c’è mai stata una vera e propria debacle, gli avversari si sono imposti ogni volta di misura. Solo a Bergamo le distanze furono di due reti, un 3-1 che si materializzò negli ultimi istanti del match. Con Milan, Inter, Torino, Chievo, Fiorentina e Palermo l’andazzo è stato lo stesso. Napoli distratto e pasticcione, talvolta del tutto assente, che ha consentito ai suoi rivali di approfittare delle proprie defaillance. Ora il calendario propone due sfide casalinghe, che hanno come comune denominatore i colori sociali dei prossimi ostacoli: il rossoblù. Bologna e Genoa sono reduci entrambi da stop esterni, ma hanno attraversato nelle settimane recenti un buon periodo di forma, quello che al Napoli manca da troppo tempo. Si confida in Datolo, specialmente per la costruzione della fase offensiva, ma sarà necessario ridurre al minimo gli errori in campo. Anche Reja ha le sue colpe, con alcune scelte scellerate che hanno poi favorito i pessimi risultati degli ultimi due mesi. Il cambio modulo al “Barbera” non ha pagato, i giocatori sembravano del tutto spaesati nel primo quarto d’ora, lasciando campo libero alle incursioni dei rosanero che ne hanno approfittato piazzando l’allungo decisivo. Maggio ha giocato talmente arretrato che quasi mai ha avuto modo di proporsi in attacco, fantasma di quel talento inafferrabile che la scorsa stagione sgroppava a folle velocità sulla corsia esterna della Sampdoria. La rosa a disposizione del mister goriziano è discreta, sicuramente migliore dell’anno scorso, ma la squadra non sembra ancora pronta per grandi palcoscenici.
Aurelio Scandurra NAPOLICALCIO.NET
